Leggendari falsi: le sirene mummificate tra inganno e scienza

La figura della sirena ha sempre affascinato l’uomo, sin dagli albori. Se oggi la immaginiamo come una creatura mezza donna e mezzo pesce – ricordando che esiste anche il suo corrispettivo maschile –, nell’antichità la sirena appariva come un essere più mostruoso, dal corpo di donna, ali e zampe da rapace. I marinai rimanevano in balia del loro canto, finché le navi naufragavano provocando la morte degli uomini. Le ricordiamo sicuramente nell’Odissea, quando Ulisse si fece legare all’albero maestro e obbligò i suoi uomini a tapparsi le orecchie con la cera, oppure negli Argonauti, quando le sirene vennero battute nel canto da Orfeo.

Con il trascorrere del tempo, da essere mostruosi e nel Medioevo anche bicaudati, fondamentalmente simboli della donna tentatrice, si trasformarono nell’immaginario collettivo in creature leggendarie, fino ad assumere i caratteri della famosa Sirenetta di Andersen, ripresa poi dalla Disney nella sua versione animata e cinematografica.

Tra il Settecento e l’Ottocento, la passione per il collezionismo, indirizzato soprattutto a quegli “oggetti meravigliosi” che riempivano la cosiddetta Wunderkammer (camera delle meraviglie) e spaziavano da manufatti archeologici fino ad animali impagliati e piante rare, fece sì che la logica dell’impostura si spingesse fino alla falsificazione delle creature mitologiche.

È il caso, questo, della sirena di Enjuin che, secondo la comune credenza, sarebbe stata pescata tra il 1736 e il 1741 nelle acque del sud del Giappone ed è ora custodita nel tempio di Asakuchi. La creatura mummificata ha un aspetto grottesco, ma si tratta davvero di una “sirena”? Ovviamente no e la scienza è corsa in aiuto per svelare quello che, soprattutto in passato, appariva come un mistero.

La sirena di Enjuin è, in realtà, un fantoccio creato assemblando varie parti di animali: mentre l’imbottitura, che la rende più veritiera, sarebbe composta principalmente di stoffa, colla, gesso e carta, sono presenti pinne di ombrine e squame di pesce palla, la parte superiore di una scimmia e quella inferiore di un salmone.

Perché creare una simile mostruosità? Il meccanismo è lo stesso che spinge i falsari odierni a spacciare una copia a volte ben fatta, di un reperto o di un dipinto per un autentico: la richiesta. Dove c’è richiesta, c’è il falsario che si ingegna. All’epoca il gusto per l’esotico e il meraviglioso, conduceva i collezionisti a fare carte false per aggiudicarsi qualcosa di più curioso rispetto a un altro. Ed ecco lì l’inganno, nonostante si pensi che alcune “sirene” giapponesi fossero state prodotte da qualche pescatore burlone come scherzo per imitare le leggendarie ningyo.

Sirena del Peabody Museum, Harvard University (Daderot, Public domain, da Wikimedia Commons)

La sirena delle Fiji, invece, venne notata da P.T. Barnum, noto come cercatore di stranezze e showman. La creatura venne esposta nel suo museo a New York, poi portata dallo stesso Barnum in giro per gli Stati Uniti e mostrata durante i suoi spettacoli. Se la gente comune poteva rimanere meravigliata da un “animale fantastico”, gli studiosi di storia naturale accusarono Barnum di truffa. Infine, la sirena andò perduta durante l’incendio che colpì il museo americano. In possesso della Harvard University ed esposta presso il Peabody Museum of Archaeology and Ethnology, ce n’è una simile, forse lascito ereditario di Moses Kimball. Da cosa era composta la sirena delle Fiji? Dal corpo mummificato di un mammifero, molto probabilmente una scimmia, assemblata con un pesce, forse una carpa.

Anche in Italia abbiamo le nostre sirene. Una si trova a Modena, presso il Museo civico archeologico. L’aspetto della sirena italiana è più arcigno, minaccioso rispetto a quello della sua “consanguinea” giapponese: i denti sono quelli di un roditore, appuntiti, mentre gli artigli riprendono quelli delle leggendarie sirene classiche e appartengono a un rapace; il capo e la parte anteriore del corpo sono realizzati in gesso, mentre la coda è di pesce.

Sirena di Modena ai raggi X (Renaud Bernadet, CC BY-SA 3.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0, da Wikimedia Commons)
Sirena di Modena dopo l’ultimo restauro (Renaud Bernadet, CC BY-SA 3.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0, da Wikimedia Commons)

La sirena di Modena ha anche un corredo documentario che ne certifica l’autenticità, giustificata abbinando ritagli di giornale in cui appaiono notizie di avvistamenti nei caldi mari orientali. Questo curioso manufatto venne donato da Pietro Sghedoni al direttore del Museo di Modena, Carlo Boni, nel 1875.

A Milano, invece, nel Museo civico di storia naturale di Milano è conservato un esemplare con capelli umani e venne ritrovato dal paleontologo del museo – Giorgio Teruzzi – negli anni ’80 del secolo scorso, nascosto in una intercapedine. Sembrerebbe un racconto di E. A. Poe, ma è realtà. Non ci sono documenti che attestino la sua storia, nonostante si pensi a una donazione effettuata in favore del museo prima del secondo conflitto mondiale. Le analisi su questa “creatura” hanno portato a dire che l’interno è composto da uno scheletro in legno e ferro, il corpo di cartapesta, gli artigli sono di qualche volatile, le pinne di pesce e i capelli umani.

Ancora, a Venezia, presso il Museo civico di storia naturale, un’altra sirena – dall’aspetto palesemente finto, soprattutto se si osserva il volto – fa “coppia” con il fantoccio di un altro animale leggendario: il basilisco. Entrambi sono composti da parte di animali assemblate con cartapesta e imbottiture per conferir loro una parvenza di realtà.

Questa produzione di animali marini fantastici, che si collocava a metà tra l’arte e le scienze naturali, si diffuse e proseguì fino alle soglie del Novecento, esaurendosi man mano, sostituita da studi scientifici da un lato e da divertimenti diversi dall’altro. Non si cercavano più gli spettacoli in cui venivano mostrate le “stranezze” della natura e i fantocci-sirena divennero così pezzi da museo.

Bibliografia e sitografia essenziali:

A. Centini, Finalmente sappiamo cos’è la “sirena” di Enjuin, venerata in un tempio giapponese, su FanPage (16.02.2023): https://www.fanpage.it/innovazione/scienze/finalmente-sappiamo-cose-la-sirena-di-enjuin-venerata-in-un-tempio-giapponese/

Comune di Modena (comunicato stampa), La sirena di Modena in mostra al Castello del Buonconsiglio di Trento (01.10.2013): https://www.comune.modena.it/salastampa/archivio-comunicati-stampa/2013/10/la-sirena-di-modena-in-mostra-al-buonconsiglio-di-trento

Fondazione Musei Civici di Venezia, Chimere, basilischi e unicorni (marzo 2020): https://www.visitmuve.it/wp-content/uploads/2020/03/IORESTOACASA-04-Musei-Civici-di-Venezia-Oggi-vi-raccontiamo-che….html

Kodami, Ora sappiamo cos’è la “sirena” mummificata di Enjuin: pubblicate le analisi degli scienziati (17.02.2023): https://www.kodami.it/ora-sappiamo-cose-la-sirena-mummificata-di-enjuin-pubblicate-le-analisi-degli-scienziati/

Il Fatto Quotidiano, “Mostro-sirena’ ritrovato nell’intercapedine di un muro del Museo di Storia Naturale di Milano: ha capelli umani, unghie d’uccello e pinne di pesce (06.09.2021): https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/09/06/mostro-sirena-ritrovato-nellintercapedine-di-un-muro-del-museo-di-storia-naturale-di-milano-ha-capelli-umani-unghie-duccello-e-pinne-di-pesce/6311826/

D. Leggett, Ritrovamenti fantastici: questa Sirena delle Fiji non è solo una leggenda marina, su CataWiki (20.07.2018): https://www.catawiki.com/it/stories/5421-ritrovamenti-fantastici-questa-sirena-delle-fiji-non-e-solo-una-leggenda-marina

S. Quarello, F. Bocchi, Guida alla scoperta delle sirene, Edizioni NPE 2023, pp. 189-192.

Wikipedia, s.v. “Sirena di Modena”: https://it.wikipedia.org/wiki/Sirena_di_Modena

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Cristina Cumbo

Scritto in data: 12 novembre 2023

Il contributo è scaricabile in formato pdf al seguente link.

Le immagini, delle quali è indicata la fonte, sono inserite per puro scopo illustrativo e senza alcun fine di lucro.

Foto di copertina: Sirena del British Museum – © The Trustees of the British Museum, Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 4.0 International (CC BY-NC-SA 4.0) license (https://www.britishmuseum.org/collection/image/578106001)

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Pubblicato da Cristina Cumbo

Archeologa e ricercatrice; Dottore di ricerca in Archeologia Cristiana; amministratrice, fondatrice e responsabile del blog #LaTPC, nonché della pagina Facebook "La Tutela del Patrimonio Culturale". Ha frequentato il primo corso di perfezionamento in tutela del patrimonio culturale in collaborazione con il Comando Carabinieri TPC presso l'Università di Roma Tre (2013) e il Master annuale di II livello in “Strumenti scientifici di supporto alla conoscenza e alla tutela del patrimonio culturale” attivo presso il medesimo ateneo (2019). Dal mese di gennaio 2022 al marzo 2024 ha collaborato con l'Institutum Carmelitanum di Roma conducendo ricerche su alcune chiese Carmelitane demolite e ricostruendone la storia. Attualmente è assegnista di ricerca presso l'ISPC - CNR, dove si occupa di analizzare storicamente il fenomeno del vandalismo sul patrimonio naturale e culturale in Italia per la redazione di linee guida funzionali alla mitigazione del rischio.