Uno scorcio di storia raccontata attraverso la chiesa di San Rocco di Abbiategrasso (MI)

Esistono luoghi culturali sconosciuti alla maggior parte delle persone perché semplicemente poco noti o perché non possiedono la stessa attrattiva di pubblico e turisti cui gode, al contrario, un sito molto gettonato.

La chiesa intitolata a San Rocco, in viale Giuseppe Mazzini nel comune di Abbiategrasso, cittadina sita alle porte di Milano nel cuore della pianura lombarda, appartiene a quei luoghi di culto che, agli occhi di un visitatore distratto, oppure al fedele che quotidianamente si appresta a seguire le funzioni religiose, apparentemente, non presentano alcun interesse culturale. Ma, c’è un ma.

Come è facile intuire, la nascita delle chiese, da un punto di vista laico, si può annoverare tra i fenomeni sociali intimamente connessi al territorio e, quindi, alla storia della cittadina cui essa appartiene. Ne consegue che studiare le chiese, la loro architettura, l’iconografia delle opere conservate al loro interno, è un modo di ripercorrere la storia delle città e il substrato culturale delle persone che le hanno abitate.

La chiesa di San Rocco di Abbiategrasso nasce intorno al 1630, in un periodo storico, per il territorio lombardo, politicamente caratterizzato dalla colonizzazione spagnola e funestato dalla peste. La monarchia spagnola, che governò nel Ducato di Milano dal 1535 fino ai primi anni del 1700, esercitò un serrato e oppressivo dominio sulla popolazione lombarda e milanese nella fattispecie, attraverso gravosi provvedimenti fiscali che la ridussero alla fame. Nel siffatto quadro politico-istituzionale la Chiesa iniziò ad acquisire prestigio attraverso l’opera riformatrice di due importanti arcivescovi, cugini: Carlo Borromeo (dal 1565 al 1584, poi canonizzato) e Federico Borromeo (dal 1595 al 1631). L’opera di Carlo Borromeo si inserì all’interno di una più pregnante riforma della Chiesa, storicamente meglio nota come “Controriforma”, in seguito al Concilio di Trento (1545-1563) e in risposta alle istanze del Protestantesimo. Federico Borromeo, divenuto arcivescovo di Milano nel 1595, ha continuato nell’opera di stretta osservanza dei canoni del Concilio di Trento avviata dal suo predecessore Carlo Borromeo.

Era questa un’epoca di grande importanza politica per la Chiesa che, come è noto, esercitava il proprio potere anche attraverso le indulgenze e l’inquisizione. Proprio quest’ultima, della quale sia Carlo Borromeo sia il cugino Federico si resero protagonisti, era al centro dell’azione del clero: era piuttosto facile, all’epoca, attribuire la responsabilità di alcuni accadimenti nefasti al maligno, credendo così che, per estirparne gli esiti, fosse necessaria un’azione divina operata attraverso l’azione esorcizzante dei “funzionari” ecclesiastici. Sulla inquisizione si è creata una letteratura sterminata, ma c’è un libro che, a mio modesto avviso, più di tutti è riuscito a narrarne l’essenza politico-culturale: si tratta del romanzo “La chimera” di Sebastiano Vassalli, premio Strega 1990, sul quale non avanzo trama e mi limito ad invitare coloro che non lo avessero letto a sfogliarne le pagine per potersi fare un’idea al riguardo.

Per gli esiti che ne ebbe, è da ritenere plausibile che anche la peste che colpì la provincia lombarda nel 1600 fu ritenuta in qualche modo opera del maligno.

Negli anni 1629-1633 una gravissima epidemia di peste colpì il nord Italia e, in particolare, nel 1630 il Ducato di Milano (come non notare, soprattutto per i successivi esiti che ebbe il fenomeno, le assonanze con l’attuale situazione epidemica da Covid-19!), e anche in questo caso la letteratura ci è amica: Alessandro Manzoni ne parla in due monumenti letterari, ovvero “I Promessi Sposi” e “Storia della colonna infame”.

Gli storici attribuirono la causa della diffusione del morbo del 1630 alle condizioni di estrema povertà e carestia in cui versava la popolazione e ai Lanzichenecchi, soldati mercenari provenienti dall’Austria, i quali, assoldati dal Ducato di Venezia nella guerra per la successione al regno di Mantova, attraversarono anche Milano, appestandola. Ovviamente, anche per motivi di contemporaneità, la peste sarà fonte di preoccupazione e di interesse politico anche per l’arcivescovo Federico Borromeo, che ne attribuiva l’origine alla volontà divina. Egli tenne al riguardo un discorso nel quale intimava la popolazione:

«Milanesi! popolo infelice! moltitudine che stai per divenir preda della peste! Già già ti sovrastano le saette della giustizia divina: andrete cadaveri sotterra, e le anime vostre dovranno presentarsi al tribunale di Dio. Ma tu, o popolo, non mi vuoi credere finché non avrai riempiti di morti le fosse, finché le tue carni non saranno pasto ai vermi…».

Il carattere misterioso di un morbo che si propagava con estrema rapidità e violenza è all’origine della sciagurata credenza che attribuiva agli untori la responsabilità della pestilenza. Gli untori, come tali, non furono inventati in particolare nel 1630, ma in quell’occasione divennero oggetto di una caccia particolarmente spietata, ed è in tale quadro che va iscritta la vicenda narrata dal Manzoni nel romanzo “Storia della colonna infame”, in cui si narra che, durante la peste del 1630, furono individuati due presunti untori, ritenuti responsabili della diffusione del morbo, condannati alla pena capitale e giustiziati con il supplizio della ruota. L’abitazione di uno dei due condannati venne rasa al suolo e al suo posto fu eretta una colonna a mo’ di monito. Solo con l’avvento dell’Illuminismo la colonna, divenuta simbolo d’infamia dei giudici che, irrogando la pena capitale, avevano commesso un’ingiustizia, fu abbattuta e la lapide è tuttora conservata presso il Castello Sforzesco di Milano. Si narra che il noto presentatore e giornalista Enzo Tortora, ingiustamente perseguitato dalla giustizia e incarcerato per fatti che mai aveva commesso, chiese che all’interno della sua bara venisse posta una copia del romanzo “Storia della colonna infame” del Manzoni. Ora vi starete certamente domandando il perché di tutta questa, seppur breve, digressione di fatti storici, partendo dalla chiesa di San Rocco di Abbiategrasso. Il motivo è presto detto.

Intanto, alcune notizie dal punto di vista architettonico e storico-artistico sono d’obbligo. L’edificio ecclesiastico presenta una facciata intonacata nella metà superiore, mentre la metà inferiore mostra i mattoni a vista e due nicchie che accolgono rispettivamente un angelo. L’interno, recentemente restaurato, presenta una navata unica che si conclude con un altare ligneo risalente al XVII secolo, e un presbiterio con volta a crociera affrescata. Alle spalle del tabernacolo è posizionata una tela con l’immagine di San Rocco.

Sulla sinistra vi è la grande raffigurazione della Crocifissione e quattro Santi, sormontata a sua volta da una tela semicircolare con la rappresentazione del Padre Eterno; in controfacciata, invece, vi è un piccolo organo del XVII secolo. Un modesto campanile del tipo a vela con una sola campana è visibile nella parte posteriore della chiesa, sulla destra.

La chiesa nasce, come si è detto, nel 1630, sul finire della pestilenza milanese, e non a caso fu intitolata a San Rocco, uno dei santi più venerati dalla Chiesa cattolica. Rocco nacque a Montpellier (Francia) intorno al 1350 circa ed è considerato protettore dalla peste. Attualmente i fedeli si rivolgono a lui per ottenere la guarigione dalla pandemia da Covid-19. Era un pellegrino e, soprattutto nell’Italia settentrionale, ha portato il proprio conforto agli appestati:

«Pochi santi sono stati tanto popolari quanto san Rocco. Dal XV secolo, ogni volta che la peste o qualche altra epidemia si è scatenata sulla cristianità occidentale, è verso di lui che le folle hanno cresciuto le loro suppliche ardenti e angosciate, è a lui che hanno piamente affidato i cari colpiti dal contagio mortale, con la convinzione che la sua potente intercessione riuscisse ad ottenere dal cielo la guarigione che la scienza umana si dimostrava incapace di operare» (A. Fliche, Saint Roch, L’Art et les Saints, vol. 22. Ed. Laurens, 1930).

Dal punto di vista iconografico il Santo viene generalmente raffigurato con attributi che ne indicano simbolicamente la storia. Egli indossa il c.d. sanrocchino, ovvero il mantello tipico del Santo; stringe un bastone, che richiama il ruolo di pellegrino; è accompagnato dal cane, che in bocca tiene un tozzo di pane e lo aiutò quando anche lo stesso San Rocco contrasse la peste; la conchiglia, tipico attributo dei pellegrini di Compostela; la piaga sulla coscia, indicata dal Santo, si ricollega al fatto di essersi ammalato di peste e che simbolicamente richiama la sua carità in favore degli appestati; talvolta viene raffigurato con una croce rossa sul petto, che richiamerebbe una voglia di quella forma che il santo sembra avesse proprio sul petto; la zucca, contenente l’acqua per abbeverarsi durante le sue peregrinazioni, che simbolicamente indica la sete del divino.

Nella chiesa a lui intitolata ad Abbiategrasso il Santo è raffigurato con il sanrocchino, il bastone, il cane, la piaga sulla coscia, la conchiglia e la croce sul petto. L’opera risale alla prima metà del XVII secolo.

Ecco allora che, nel formulare una sintesi di quanto detto, è possibile affermare come le chiese, quali luoghi emblematici della cristianità, rappresentino un tratto non solo simbolico ma identitario della nostra cultura, perché la loro esistenza costituisce testimonianza privilegiata del vissuto di persone, accadimenti, istituzioni e, grazie al loro “passato”, si trovano nel presente a raccontarci la nostra Storia.

Bibliografia essenziale:

F. Borromeo, La peste di Milano, edizioni Rusconi, 1987.

Catalogo Generale dei Beni Culturali: https://catalogo.beniculturali.it/detail/HistoricOrArtisticProperty/0300065238

Chiesa di S. Rocco, Abbiategrasso (MI), scheda sul sito della Regione Lombardia: https://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/MI230-00010/

A. Fliche, Saint Roch, L’Art et les Saints, vol. 22. Ed. Laurens, 1930.

V. Gazzola Stacchini, La peste e il cardinale, su La Repubblica (12.11.1987): https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/11/12/la-peste-il-cardinale.html

Iacopone da Voragine, La Leggenda aurea. Vite dei Santi, A piccoli passi edizioni, 2019.

A. Manzoni, I Promessi Sposi, La Spiga edizioni, 2012.

A. Manzoni, Storia della colonna infame, ed. La Feltrinelli, 2015

S. Vassalli, La Chimera, edizioni Bur Rizzoli, 2015.

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Leonardo Miucci

Foto di Leonardo Miucci

Le immagini, delle quali è indicata la fonte, sono inserite per puro scopo illustrativo e senza alcun fine di lucro.

Scritto in data: 6 febbraio 2022

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Pubblicato da Leonardo Miucci

Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, precedentemente in servizio presso la Sezione TPC di Siracusa