Fosfati e ossalati di ammonio, una valida alternativa per il restauro e la conservazione dei manufatti a composizione calcarea

Fosfati e ossalati di ammonio rappresentano una valida alternativa alle resine sintetiche per la conservazione del patrimonio esposto all’aperto, in particolare se costituito da superfici di natura carbonatica. Si tratta di materiali che conferiscono agli interventi di restauro e manutenzione alcune importanti caratteristiche: compatibilità, durabilità e minimo intervento.

Se si osserva una fontana in marmo, è probabile notare la presenza di macchie giallognole, di estensione più o meno grande e di colorazione variabile (dal grigio al giallo, dal marrone al nero). Nella maggior parte dei casi, si tratta di “patine ad ossalati”, ovvero sottili strati superficiali composti da ossalati di calcio, da altri materiali (quarzo, gesso, fillosilicati) e, molto probabilmente, da sostanze di natura organica che derivano da precedenti trattamenti conservativi e dall’inquinamento atmosferico. Queste patine, generalmente molto aderenti al substrato, coprono la superficie lapidea originaria e ne compromettono la leggibilità ma costituiscono, di contro, una “protezione” contro gli agenti atmosferici. I materiali lapidei utilizzati per la realizzazione di fontane, facciate, monumenti sono infatti, per la loro natura carbonatica, particolarmente sensibili all’azione acida di alcuni inquinanti, come ad esempio l’ossido di azoto, presenti nei centri urbani a causa del traffico e del riscaldamento domestico. Infatti, a contatto con il pH acido di piogge e condense, i materiali di natura carbonatica si disgregano, fino a raggiungere, in superficie, una consistenza “zuccherina”.

Facciata del Duomo di Monza dopo l’intervento di restauro terminato nel 2021 in cui sono stati utilizzati fosfati e ossalati di ammonio (Giorgio Pallavicini, CC BY-SA 4.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0, via Wikimedia Commons)

Come agiscano fosfati e ossalati di ammonio? Partendo dalle patine di ossalato, sin dai primi anni 2000, si è cercato di mettere a punto un metodo che ne riproducesse l’azione protettiva funzionale alla conservazione delle superfici lapidee esposte all’aperto.Dopo una serie di considerazioni, si è deciso,sotto la guida del professore Mauro Matteini, di testare soluzioni acquose di fosfati e di ossalati di ammonio. Il fosfato è stato scelto per le operazioni di consolidamento, per la sua spiccata capacità di penetrazione; l’ossalato invece come protettivo finale, poiché penetra poco e agisce in superficie.  La sperimentazione condotta in questi anni ha permesso di appurare efficacia e vantaggi di entrambe le soluzioni.

Per quanto riguarda il meccanismo di azione, possiamo dire brevemente che il fosfato di ammonio forma, a contatto con il calcio, fosfati di calcio insolubili con un conseguente effetto di riaggregazione, fino ai 3-4 millimetri di profondità.

Il trattamento a base di ossalato di ammonio agisce invece più superficialmente (meno di 1 millimetro di profondità) e rende il substrato “acido-resistente” grazie alla trasformazione del carbonato di calcio in ossalato di calcio. Quest’ultimo, a differenza del carbonato, possiede infatti una ridottissima solubilità anche a pH fortemente acidi.

Rispetto all’uso di resine sintetiche, predominante a partire dagli anni ‘70, si tratta di un vero e proprio cambiamento concettuale. Se infatti per decenni si è cercato di creare un film artificiale sulle superfici da proteggere, oggi si punta piuttosto a ridurne la capacità di assorbimento nei confronti dell’acqua e degli altri agenti inquinanti, senza rendere le superfici impermeabili. Si tratta di un requisito fondamentale in presenza di sali solubili poiché ne permette la migrazione in superficie, evitando che cristallizzino internamente. La blanda azione idrorepellente ottenuta consente, tuttavia, di schermare i contaminanti trasportati dalla pioggia, riducendone la penetrazione all’interno dell’opera.

Ancora, rispetto all’uso delle resine sintetiche, chehanno una natura polimerica molto diversa dalla composizione dei materiali lapidei da trattare e che con il tempo presentano una serie di problemi non trascurabili (tra cui irreversibilità e alterazione cromatica), l’uso di fosfati e ossalati di ammonio presenta molteplici vantaggi. Si tratta infatti di una metodologia in linea con il concetto del “minimo intervento” e con una grande compatibilità chimico-fisica con i materiali di natura carbonatica da trattare. Last but not least, permette la ritrattabilità delle superfici anche a distanza di tempo. Queste caratteristiche rendono fosfati e ossalati di ammonio altamente performativi anche se confrontati con il silicato d’etile, un consolidante a base di esteri etilici dell’acido silicico molto usato a partire dagli anni ’90 per il restauro del lapideo. Seppure di natura minerale, il silicato di etile non ha compatibilità con le pietre carbonatiche. Spesso, a distanza di 15-20 anni dal trattamento, si sono manifestati fenomeni di distacco e perdita di frammenti.

Fontana dei Quattro Fiumi di Gian Lorenzo Bernini in Piazza Navona a Roma, particolare, presenza di patine giallognole a ossalato (foto di Julia Volk: https://www.pexels.com/)

Ma come vengono utilizzati fosfati e ossalati di ammonio? Entrambi possono essere applicati a pennello o a spruzzo con impacchi di polpa di cellulosa, a concentrazione variabile in base alle necessità. Per quanto riguarda le operazioni di consolidamento, in presenza di micro fessurazioni, è anche possibile effettuare delle piccole iniezioni di fosfato d’ammonio a siringa. Le sperimentazioni di questi ultimi dieci anni, volte a valutare i due trattamenti in termini di riduzione dell’assorbimento dell’acqua, efficacia consolidante in relazione alla profondità e capacità di penetrazione, hanno permesso di appurare che è possibile applicare il fosfato d’ammonio in più mani a concentrazione crescente (fino al 5-6%) per migliorarne la penetrabilità. Sembra inoltre possibile utilizzare fosfati e ossalati in un’unica soluzione. Tale procedura, del tutto innovativa e molto vantaggiosa soprattutto nel restauro di ampie superfici (si pensi alle facciate di molti edifici), consente di realizzare il trattamento consolidante e quello protettivo con un notevole risparmio di tempo e di costo. Spesso fosfati e ossalati sono utilizzati in combinazione con le nanocalci e con aggiunta di biocida.

Ad oggi l’applicazione dell’ossalato di ammonio come protettivo dei dipinti murali all’esterno, non è ancora comune. Ma, anche in questo ambito, i primi risultati si sono dimostrati interessanti, sia sotto il profilo del recupero estetico sia, soprattutto, sotto quello conservativo.

Breve dizionario di riferimento

Biocida: prodotto chimico ad effetto disinfettante/antimicrobico per interventi di pulitura e prevenzione di superfici marmo, pietra, laterizio, intonaci.

Consolidamento: operazione volta a ridare coesione e stabilità ad un materiale naturale o artificiale (dagli intonaci al legno, dalle tele alle pietre) che ha perso coesione e resistenza meccanica. Si utilizzano a tal fine prodotti e metodologie diverse a seconda dello stato di conservazione e del materiale da trattare.

Fessurazione: degrado di una superficie che si manifesta con la formazione di soluzioni di continuità nel materiale.

Litotipo: tipo di roccia formata da un certo numero di minerali come cristalli, resti di organismi fossilizzati e altri materiali biologici.

Nanocalci: nanoparticelle di idrossido di calcio, disperse in alcol, impiegate per il consolidamento di materiali a base carbonatica utilizzati per la realizzazione di dipinti murali e opere architettoniche.

Patina: processo, naturale ed inevitabile, di invecchiamento dei materiali organici e inorganici di cui è composta un’opera d’arte.

Protezione finale: trattamento – a base di sostanze di composizione variabile a seconda dei materiali costitutivi – che si esegue solitamente a conclusione di un intervento conservativo al fine di proteggere la superficie dell’opera, soprattutto se esposta all’azione di agenti atmosferici.

Silicato d’etile: consolidante, a base di esteri etilici dell’acido silicico in miscela solvente, in grado di penetrare nel materiale lapideo degradato fino in profondità.

Bibliografia essenziale:

M. Franzini, C. Gratziu, Patine sulle superfici marmoree dall’antichità al  XIX secolo: proprietà e caratteristiche delle patine ad ossalato di calcio, in Bollettino d’Arte, 41 (1987), supplemento, vol. II, pp. 17-20: http://www.bollettinodarte.beniculturali.it/opencms/multimedia/BollettinoArteIt/documents/1372164552348_09_-_M._Franzini-C._Gratziu.pdf

C. Arcolao, A. Mairani (a cura di), Fosfati ed Ossalati artificiali per la conservazione delle superfici dell’architettura, Genova 2021.

Abstract:

At the beginning of new millenium, moving from the protection characteristic of the oxalate patinas, began the study and experimentation to find a method to consolidate and protect the calcareous surfaces of the cultural heritage, that would make it possible to overcome the use of synthetic resins – widely used since the 70s – and solvent solutions of ethyl silicate too. With the guidance of the professor Mauro Matteini, a treatment based on aqueous solutions of phosphate and ammonium oxalates was thus developed.

Phosphate and ammonium oxalates are particularly advantageous for consolidating and protecting stone surfaces exposed outdoors to the degrading action of atmospheric agents and pollutants. Those materials have some important characteristics: compatibility, durability and minimal intervention. Unlike synthetic resins, they do not form a film on the surface but make it less sensitive to the acid action of pollutants and more resistant to their penetration, reducing the water absorption capacity without, however, making the surface water-repellent.

Keywords: restoration; oxalate; cultural heritage

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Matilde Atorino

Scritto in data: 13 settembre 2023

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Pubblicato da Matilde Atorino

Laureata presso l'Istituto Centrale per il Restauro nel settore dei dipinti, ha svolto la professione di restauratrice dal 2006 al 2020, in proprio e per 4 anni come dipendente dei Musei Vaticani. Nel 2022 ha conseguito il titolo del Master di I livello "La scienza nella pratica giornalistica" presso La Sapienza, con una tesi sulla comunicazione del restauro. Ama viaggiare, soprattutto in bici.