Giulio Battelli e la tutela degli archivi ecclesiastici durante la Seconda Guerra Mondiale: gara contro il tempo, i saccheggi e i bombardamenti per il salvataggio della nostra storia

Gli archivi costituiscono indubbiamente una fonte inesauribile di sapere: in essi trovano collocazione svariate tipologie documentarie, frequentemente studiate dai ricercatori e da chiunque voglia, in qualche modo, ricostruire piccoli tasselli della nostra storia.

Così Giulio Battelli, archivista, sosteneva: «Quando si parla di antichi documenti e di archivi, capita spesso che sembri di accennare a cose e a problemi che interessano solo una piccola cerchia di studiosi, pochi specialisti che dedicano la loro vita alle ricerche storiche ed erudite. Non si pensa che cosa sono gli archivi per la storia della civiltà: che quasi esclusivamente sulle loro carte si poggia la nostra conoscenza del passato, di cui si avvantaggia la storia, la politica, il diritto, la diplomazia, l’economia, la statistica. Non si pensa che, se gli archivi antichi sono talora di pregio eccezionale per la rarità dei documenti, anche gli archivi moderni hanno importanza in quanto custodiscono documentazione e prova dei fatti che regolano la nostra vita sociale. In realtà si ha una varietà quasi infinita di archivi, come sono pressoché infinite le forme dell’attività umana che ad assi danno origine: ed è in questo senso ampio che la conservazione degli archivi diviene un vero problema sociale»[1].

Di recente abbiamo visto, però, come la loro conservazione possa essere talvolta minata da una valutazione sbagliata nella scelta dei locali, soggetti per esempio ad allagamenti. In passato, invece, la loro stessa esistenza venne minacciata dalla guerra.

Durante il secondo conflitto mondiale numerosi archivi, non solo statali, ma anche ecclesiastici, furono depredati e divennero oggetto di bombardamenti, andando così incontro a distruzione o dispersione.

La Chiesa, già nel 1941, aveva iniziato a tutelarsi, provando a indire un censimento degli archivi ecclesiastici. A tale scopo il Card. Giovanni Mercati, bibliotecario e archivista S.R.C. aveva indirizzato una lettera a tutte le Diocesi d’Italia. Lo scopo principale di questa operazione era quella conoscitiva: solo se siamo a conoscenza del nostro patrimonio, infatti, possiamo tutelarlo e tale era l’idea alla base del censimento; in un periodo come quello degli anni Quaranta, però, il pericolo imminente era costituito dallo spettro bellico che si avvicinava senza pietà e che, di certo, non avrebbe risparmiato i preziosi documenti.

Citiamo ancora Giulio Battelli: «Ma quando si parla di archivi è naturale che si pensi innanzi tutto all’opera della Chiesa che attraverso molti secoli, almeno fino al secolo XIII, unica fra tutte le istituzioni del tempo, ha saputo conservare i suoi archivi, tanto che tutti gli antichi documenti giunti a noi, anche quelli ora posseduti da enti civili o da privati, sono di provenienza ecclesiastica, così come proviene da chiese e da monasteri tutto ciò che resta dell’antica cultura. Ed anche più tardi gli archivi dei comuni d’Italia spesso furono depositati presso chiese, come in luogo più sicuro dalla violenza delle guerre. L’antico uso si è oggi in certo modo rinnovato: nell’ora del pericolo la Chiesa ha accolto sotto la sua protezione insigni documenti di storia e di cultura salvandoli da probabile rovina»[2].

L’Italia era già entrata in guerra nel 1940, ma la situazione precipitò in breve tempo. Il censimento degli archivi ecclesiastici non poté essere completato e i danni che ne derivarono furono immensi. Nel dicembre 1942, Genova aveva subito il bombardamento, 14 delle sue 42 chiese parrocchiali erano state rase al suolo e molti archivi risultavano ormai dispersi. Sorte diversa toccò a Torino dove l’Archivio della Curia era stato fortunatamente salvato da un incendio e tutti i parroci, contro ogni prospettiva, avevano portato in salvo gli archivi all’interno di rifugi sotterranei; a Milano, invece, i moduli per il censimento non erano mai giunti.

Come ricoveri venivano scelti i piccoli centri in campagna, lontani dalle grandi città e apparentemente sicuri contro il pericolo dei bombardamenti. Questa “convinzione” durò fino al 1943 quando le sirene antiaeree cominciarono a suonare, mettendo in guardia la popolazione dagli attacchi che via via si intensificarono, cui si aggiunse l’incubo dei saccheggi derivanti dall’occupazione militare seguita all’armistizio. Fu in questo momento che la parte più preziosa e importante dell’Archivio di Stato di Napoli andò distrutta, bruciata dai nazisti, il 30 settembre 1943, seppur depositata presso Villa Montesanto a San Paolo Belsito.

Bisognava urgentemente trovare un modo per salvare, dunque, i preziosi archivi.

La Santa Sede prese accordi con l’Ambasciata di Germania presso la Santa Sede: in quell’occasione si decise di provvedere immediatamente alla protezione degli archivi ecclesiastici del territorio compreso tra Roma e il Garigliano. Logicamente tale patto prevedeva che una persona della Segreteria di Stato Vaticana – Giulio Battelli – sarebbe stata accompagnata da un Ufficiale della “Sezione Protezione Artistica” del Comando Militare Tedesco a prendere accordi con i Vescovi, al fine di garantire la salvaguardia degli archivi e offrire la possibilità di trasportali all’interno dell’Archivio Segreto Vaticano in deposito temporaneo, luogo che veniva definito, proprio per aver accolto archivi e opere d’arte da ogni dove, Scrinium tutum.

Se i Vescovi non avessero accettato il trasporto, si sarebbe provveduto sul luogo a proteggere i documenti. La missione fu diretta dal Cardinal Mercati e, mentre il Comando Tedesco si impegnava a fornire i mezzi per il trasporto e ad apporre fuori dai locali archivistici la lettera del Mar. Kesselring per impedirne la requisizione e l’ingresso dei soldati, si procedeva. Fu il dott. Goffredo Lang, membro dell’Istituto Storico Germanico – stabile a Roma da molti anni e profondo conoscitore degli archivi italiani – a prendere contatti con le autorità militari per mezzo dell’Ambasciata.

Foto aerea dell’abbazia al termine dei combattimenti (Baker (F/O), Royal Air Force official photographer, Public domain, da Wikimedia Commons)

Ancora Giulio Battelli, inviato stesso dal Vaticano durante questi salvataggi, narra che si agì prima di tutto sull’Archivio di Montecassino. Le casse contenenti i documenti e alcune opere d’arte, dopo lunghe peripezie (furono infatti trasferite, in un primo momento, nei pressi di Spoleto per ordine di Goering), vennero portate dai nazisti fino a Castel Sant’Angelo, dove un ufficiale tedesco strinse la mano a un rappresentante della S. Sede. Il giorno dopo un camion portò il carico dentro Città del Vaticano. L’archivio veniva così inserito in territorio neutrale (si rimanda al video: https://www.youtube.com/watch?v=XiltmUOP_Lg&t=21s ).

Battelli si recò a Fondi, dove la chiesa di Santa Maria in Flumine era stata distrutta, ma qualcuno, forse il parroco della chiesa di San Pietro, era riuscito a murare le pergamene della struttura demolita e di quella che lui amministrava all’interno di nascondigli sicuri, salvando anche il candelabro pasquale; a Gaeta, totalmente bombardata, rimasero miracolosamente intatti l’archivio e il Tesoro della Cattedrale e fu possibile così trasferire le pergamene e alcune opere in Vaticano, con non poche difficoltà, usando i camion del Governatorato. Allo stesso modo, in Vaticano giunsero alcune pergamene dell’archivio capitolare e di quello vescovile di Velletri, mentre si decise di inserire alcuni documenti dell’archivio comunale nelle sottofondazioni del palazzo del Comune che, purtroppo, crollò.

Il viaggio proseguì verso Veroli, Anagni (in quel momento dichiarata “città ospedaliera” e difficilmente accessibile), Sezze, Cori, Subiaco e successivamente nelle diocesi intorno a Roma dove si intervenne, al contrario di Frosinone e Sora, luoghi in cui ritenuto inutile fermarsi e Terracina, centro che venne completamente distrutto. Priverno e Sonnino provvidero localmente, mentre Viterbo subì gravissimi danni: la cattedrale era stata bombardata, così come la chiesa di San Francesco in cui le tombe di due pontefici risultavano molto compromesse. A Viterbo, Battelli e Lavagnino tornarono una seconda volta per caricare le opere d’arte, accompagnati anche da Palma Bucarelli che si recava a Caprarola. In quel momento ci fu un altro bombardamento:

«Ma poco prima di mezzogiorno il nostro lavoro fu interrotto da un intenso bombardamento che colpì la città verso Porta Fiorentina, non lontano da San Francesco. Lavagnino ha descritto quello che avvenne intorno a noi: scoppi fragorosi, odore di “polvere nera”, nuvole di polverone prodotte da calcinacci in frantumi: una decina di velivoli lanciavano bombe che sembravano scatole lucenti nel turchino del cielo sereno. Come Dio volle, ci ritrovammo tutti sani e salvi presso la cattedrale»[3].

Viterbo sarà tappa di viaggio ancora per una terza volta: rimanevano da portare via archivi e incunaboli, ma era stata bombardata di nuovo.

Narra Battelli: «Spesso i viaggi erano compiuti in stretta collaborazione con la Soprintendenza alle Gallerie che parallelamente svolgeva un’azione simile per tutte le opere d’arte sacra delle chiese del Lazio e delle regioni limitrofe, accentrandole presso la Galleria Vaticana. È merito dello zelo instancabile del prof. Emilio Lavagnino se molte opere si sono cosi conservate»[4].

Con il peggioramento della situazione, non tutto poteva essere ricoverato a Roma.

Fanteria tedesca in marcia verso Nettuno, mentre supera un Panzerjäger Elefant( Bundesarchiv, Bild 101I-311-0940-35 / Koch / CC-BY-SA 3.0, CC BY-SA 3.0 DE https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/de/deed.en, da Wikimedia Commons)

Battelli e Lavagnino procedettero verso l’Abruzzo, le Marche e l’Umbria, ma l’Italia settentrionale rimaneva fuori portata. A Firenze, per la protezione degli archivi della Toscana e della Liguria, lavorarono i dott. Federico Bock e Goffredo Opitz, membri dell’Istituto Storico Germanico di Roma. Giunse a Roma anche il prof. Theodor Mayer, direttore dei Monumenta Germaniae Historica e dello stesso Istituto Storico, per l’organizzazione della protezione in Liguria e in Piemonte. Fu proprio lui a opporsi al provvedimento emanato da Heinrich Himmler nel 1944, che prevedeva di mettere sotto controllo tedesco gli archivi italiani, trasferendo in Germania i documenti più importanti che attestassero la storia tedesca. Mayer propose invece una registrazione fotografica dei documenti archivistici più importanti, evitando così il saccheggio deciso dal Reich.

Intanto nel Sud Italia, le Diocesi avevano provveduto a mettere in salvo gli archivi con l’aiuto degli Alleati. La protezione di quelli ecclesiastici così come dei civili, infatti, rientrava tra i compiti della Sottocommissione Alleata. In Sicilia gli archivi di Messina e in parte quello arcivescovile di Palermo subirono immensi danni; nelle Puglie nessun archivio era stato colpito, mentre furono lievemente colpiti quello di Catanzaro e Squillace. Nonostante i crolli, a Benevento e a Capua gli archivi erano stati recuperati, anche per interessamento del clero locale.

Quando gli Alleati giunsero a Roma, domenica 5 giugno, divenne necessario rilevare i danni avvenuti e recarsi nei rifugi per rimuovere i documenti murati affinché non si rovinassero. Da quel momento in poi, i sopralluoghi vennero effettuati dal cap. Brooke della Sottocommissione Alleata, dal comm. Re (commissario per gli Archivi di Stato d’Italia) e ancora da Battelli come rappresentante della Santa Sede. Il Card. Mercati aveva, invece, messo a disposizione una macchina per gli spostamenti. Tutti i parroci vennero allertati affinché, una volta tornati nelle proprie sedi, provvedessero a quantificare i danni e a recuperare gli archivi ecclesiastici.

La spedizione partì imboccando la via Appia, diretta verso Napoli; lungo la strada, si intravedevano i Colli Albani privi di vegetazione, andata in fiamme, e ancora nulla si sapeva delle famose navi di Nemi, perdute a causa dell’incendio. A luglio gli inviati giunsero a Poli, dove a Villa Catena era ricoverato l’Archivio Orsini, uscito illeso dai bombardamenti, e a Tivoli; seguirono gli scavi di Pompei ed Ercolano, Salerno, Potenza e poi, durante il ritorno, la certosa di Padula.

Nell’aprile 1945 Battelli accompagnò Brooke a controllare la situazione degli archivi in Toscana, anche nelle città danneggiate. Si fermarono a Pisa, Lucca, Firenze, Arezzo, Pienza, Cortona, poi Roma, Orvieto , Todi, Montefiascone.

Giulio Battelli, pur avendo vissuto la guerra, legge speranza e bontà nel cuore degli uomini: «Ed è bello vedere accinte a questa opera di ‘ricostruzione’ morale e materiale persone che, pur rappresentando interessi diversi, lavorano per una finalità ideale comune: non importa se si tratti di archivi ecclesiastici o civili, di uno o piuttosto di un altro esercito belligerante: importa soprattutto salvare i documenti della nostra storia e della nostra vita»[5].

Il Presidente della Repubblica riceve in udienza Giulio Battelli, a destra (Quirinale, Public domain, da Wikimedia Commons)

Alla fine della guerra, i maggiori archivi ecclesiastici erano stati salvati ed erano illesi, mentre i gravi danni avvenuti in altri casi erano comunque inferiori a quelli subiti dal patrimonio storico-artistico (magra consolazione!).

«I documenti perduti sono per lo più atti ufficiali e corrispondenza, pratiche amministrative, registri parrocchiali (che in alcuni luoghi risalgono al sec. XVI), memorie storiche e talvolta anche antiche pergamene, manoscritti liturgici e musicali»[6].

Il vero e gravissimo danno consisteva nella perdita della memoria. In numerosi casi, infatti, non si aveva nemmeno cognizione di quali documenti fossero andati distrutti o dispersi. Su 779 archivi perduti o danneggiati, solamente di 94 (relativi a 25 diocesi) Battelli e colleghi erano riusciti a ottenere l’elenco sommario del loro contenuto.


[1] S. Pagano, Il censimento degli archivi ecclesiastici d’Italia del 1942, Città del Vaticano 2010, Appendice I – Documenti, G. Battelli, Per la tutela del patrimonio storico e archivistico, p. 103.

[2] S. Pagano, Il censimento degli archivi ecclesiastici d’Italia del 1942, Città del Vaticano 2010, Appendice I – Documenti, G. Battelli, Per la tutela del patrimonio storico e archivistico, p. 103.

[3] G. Battelli, Archivi, biblioteche e opere d’arte: ricordi del tempo di guerra, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, VII, 2000, p. 68.

[4] S. Pagano, Il censimento degli archivi ecclesiastici d’Italia del 1942, Città del Vaticano 2010, Appendice I – Documenti, G. Battelli, Per la tutela del patrimonio storico e archivistico, p. 105.

[5] S. Pagano, Il censimento degli archivi ecclesiastici d’Italia del 1942, Città del Vaticano 2010, Appendice I – Documenti, G. Battelli, Per la tutela del patrimonio storico e archivistico, p. 106.

[6] G. Battelli, Gli archivi ecclesiastici d’Italia danneggiati dalla guerra, in Rivista di storia della chiesa in Italia, 1947, p. 306.

Bibliografia essenziale:

G. Battelli, Gli archivi ecclesiastici d’Italia danneggiati dalla guerra, in Rivista di storia della chiesa in Italia, 1947, pp. 306-308.

G. Battelli, Archivi, biblioteche e opere d’arte: ricordi del tempo di guerra, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, VII, 2000, pp. 54-104.

S. Pagano, Il censimento degli archivi ecclesiastici d’Italia del 1942, Città del Vaticano 2010, Appendice I – Documenti, G. Battelli, Per la tutela del patrimonio storico e archivistico, pp. 103-106.

Abstract:

During the Second World War, cultural heritage was under attack. Archives and artworks were stolen, damaged or missing. Giulio Battelli, in charge by the Holy See to protect the ecclesiastical archives, was a witness of the destructions and he took part to the mission of safeguarding travelling in numerous towns of Italy.

Keywords: Second World War, Giulio Battelli, archives, history, cultural heritage safeguard.

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Cristina Cumbo

Scritto in data: 11 febbraio 2024

Il contributo è scaricabile in formato pdf al seguente link.

Le immagini, delle quali è indicata la fonte, sono inserite per puro scopo illustrativo e senza alcun fine di lucro.

La nostra attività sul blog e sui social viene effettuata volontariamente e gratuitamente. Se vuoi sostenerci, puoi fare una donazione. Anche un piccolo gesto per noi è importante.

Ti ringraziamo in anticipo!

Admin. Cristina Cumbo e #LaTPC team

Puoi inquadrare il QR-code tramite l’app di PayPal, oppure cliccare su:

Sostieni #LaTPC blog

Pubblicato da Cristina Cumbo

Archeologa e ricercatrice; Dottore di ricerca in Archeologia Cristiana; amministratrice, fondatrice e responsabile del blog #LaTPC, nonché della pagina Facebook "La Tutela del Patrimonio Culturale". Ha frequentato il primo corso di perfezionamento in tutela del patrimonio culturale in collaborazione con il Comando Carabinieri TPC presso l'Università di Roma Tre (2013) e il Master annuale di II livello in “Strumenti scientifici di supporto alla conoscenza e alla tutela del patrimonio culturale” attivo presso il medesimo ateneo (2019). Dal mese di gennaio 2022 al marzo 2024 ha collaborato con l'Institutum Carmelitanum di Roma conducendo ricerche su alcune chiese Carmelitane demolite e ricostruendone la storia. Attualmente è assegnista di ricerca presso l'ISPC - CNR, dove si occupa di analizzare storicamente il fenomeno del vandalismo sul patrimonio naturale e culturale in Italia per la redazione di linee guida funzionali alla mitigazione del rischio.