Il presepe: dalla storia alla tradizione, passando per i ricordi

L’8 dicembre, con la festività dell’Immacolata Concezione, sul far della sera e mai prima, mia mamma faceva il “presepio”; perché a casa mia si dice proprio così: presepio. Noi bambini aspettavamo per un anno intero quel giorno: non ci interessava il Natale, né i regali, che date le ristrettezze economiche non avremmo comunque ricevuto. A noi, di tutto il Natale, interessava una cosa sola: “fare” il presepio. Veniva allestito su un piano della credenza della cucina, subito dopo l’ingresso, in un angolo del mobile adibito apposta per la bisogna: una base rettangolare si proiettava verso l’interno, dove mia mamma sapientemente vi aveva ricavato un anfratto per la grotta escogitato per proteggere gli ospiti che l’avrebbero occupato da chissà quali pericoli e nel quale, con la cartapesta, modellava la montagna. Una stella cometa di colore bianco sovrastava la grotta e al suo interno, in un cantuccio, vi erano una mangiatoia e dappresso un bue bianco e un asinello grigio; al suo interno quel bambino che veniva ammantato con un batuffolo di cotone bianco – perché, diceva mia mamma, nascerà il giorno di Natale e ora non c’è ancora – e così tenuto fino alla mezzanotte del giorno della sua nascita; quel bambino, nato da chissà quale provvidenza, portava una luce di speranza; ai suoi lati una donna, che doveva essere la madre, e un uomo, il padre putativo. Davanti alla grotta, tre magi con i rispettivi cammelli facevano la loro comparsa portando doni a quella speranza fattasi carne. Sul calpestio, un prato di erba e muschio sul quale vi camminava ogni forma di umanità: il lattaio; il salsiccere; il pastore di greggi e le greggi (ne cadeva sempre qualcuna di pecorella); il fabbro; l’arrotino; il calzolaio; l’ubriaco; orde di famiglie riunite all’interno di grotte adibite a ricovero.

Mi incantavo ad osservare quelle “umanità”, immedesimandomi nelle loro emozioni e nelle loro paure disegnate sui volti, inventando per ciascuna di esse una propria storia. Mi soffermavo – ricordo – anzitutto sui genitori di quel bambino, provando a carpirne lo stato d’animo: fissavo mio padre e poi mia madre e di riflesso, repentinamente, spostavo il mio sguardo su quelle rappresentazioni celesti e mi chiedevo come dovesse essere il dolore di un genitore alla morte di un figlio. La sola domanda mi creava sgomento e mi gettava nello sconforto assoluto, e subito sviavo il pensiero, sebbene l’assillo da allora abbia sempre attanagliato la mia anima. Spostavo poi l’attenzione su ogni singolo personaggio e per ognuno ne traevo la relativa storia umana: il salsiccere, non so perché, lo immaginavo come il personaggio più ricco e quindi ne trascuravo i dettagli; l’ubriaco destava il mio interesse perché lo vedevo “malato”, non tanto a causa del vino che evidentemente ingurgitava, ma afflitto da chissà quali malanni dell’anima per curare i quali preferiva bere. Il pastore era con il suo gregge e ricordo, in particolare, che egli indossava una tunica corta con un laccio di traverso sulla spalla e, attorno al collo, adagiato un piccolo agnellino. L’immagine mi creava emozione e sicurezza al tempo stesso: quel piccolo essere poteva contare sul suo pastore perché mai l’avrebbe abbandonato e sempre lo avrebbe protetto dai pericoli. Immaginavo la sua storia e lo vedevo intimamente legato alla montagna e ai pascoli, rifuggiva il caos cittadino e la sua vita era fatta di silenzio e notti e belare di greggi. Si trovava lì perché, come gli altri, aveva seguito un indizio, una luce che lo portava dinanzi alla Speranza.

Ognuna di quelle statuine di plastica impersonava un’umanità con una storia che io stesso creavo e immaginavo venisse fuori soltanto di notte, quando tutti dormivano, perché quella umanità non amava la luce artefatta del mondo in cui noi “umani” vivevamo. E immaginavo il loro cammino verso la Luce; le grida del salsiccere e del lattaio; il malessere dell’ubriaco; potevo anche sentire gli attrezzi dell’arrotino e del calzolaio. Ma più di tutti sentivo il vagito di quel bambino, che gridava al Mondo la sua nascita e che per il mondo sarebbe poi morto dopo circa trentatré anni.

Ecco, tutto questo io pensavo quando mia mamma allestiva il presepio: mi ponevo da viandante tra i viandanti, condividendone il dolore e la Speranza.

E ancora oggi, dopo tantissimi anni, quando osservo o visito un presepio, mi fermo a riflettere e a dare un senso a quella rappresentazione e sento crescere dentro di me l’angoscia per le tante guerre che oggi attanagliano il Pianeta, le ingiustizie, le sofferenze e i dolori di chi è stato meno fortunato di noi cristiani, e nella fattispecie cristiani occidentali, che viviamo nell’opulenza della vita e che, tuttavia ed ipocritamente, continuiamo ad allestire presepi. Sento emergere la sensazione di un tradimento di quella Speranza fattasi carne, ma la Speranza si nutre di speranza e sono certo che “dev’esserci, lo sento, in terra o in cielo un posto dove non soffriremo e tutto sarà giusto” (citaz. Francesco Guccini, Cirano).

***

Troverete forse intempestivo il fatto che, solo dopo le festività natalizie, il Blog #LaTpc tratti del presepe. Ci si aspetta, infatti, che di questo argomento – che solo apparentemente sembra non avere attinenza con la culturalità ma, come vedremo, non è proprio così – se ne parli durante il Natale.

In realtà il caso ha voluto che, in occasione dell’Epifania, uno degli autori visitasse l’esposizione di un presepe allestita nella “strada sotterranea” del Castello Visconteo-Sforzesco della Piazza Ducale di Vigevano (PV), e da lì è nato il desiderio forte di dover scrivere qualcosa a proposito e, quindi, eccoci qua a inaugurare il nuovo anno partendo proprio dalla “nascita”.

Vigevano, Piazza Ducale, gennaio 2024 (foto di Leonardo Miucci)

La mostra, con ingresso libero, è stata attiva dal 2 dicembre 2023 al 14 gennaio 2024, allestita dall’associazione “Pazzi per il Presepe” che si avvale della collaborazione di maestri presepisti provenienti da Ponte San Pietro (BG). Ogni anno l’iniziativa riscuote un enorme successo e, secondo le stime dell’ultima precedente edizione, i visitatori sono stati oltre 15 mila.

Quest’anno, l’allestimento ha avuto come argomento la figura del pastore: “Nel presepe l’invito alla ricerca è accolto dalla figura dei pastori. Spesso gente sola, umiliata, ai margini della società”. E proprio la figura del pastore, da me accostata a quella del viandante, ha rievocato ricordi della mia infanzia che più non pensavo di custodire, e invece…

Ricordi che si affollano attorno a qualche statuina, a tante casette arrampicate sulle montagne di cartapesta, a quella mangiatoia che, ogni anno, ognuno di noi riempie di lucine intermittenti. Eppure, sono proprio quei momenti intimi, rimasti impressi nel cuore, a fare del presepe un elemento fondante delle nostre tradizioni; tradizioni che affondano radici anche nell’artigianato e che, nel presepe, trovano manifestazione.

Si dice che fu San Francesco d’Assisi a introdurre il presepe nella nostra usanza natalizia, ma si tratta di una mezza verità. Il presepe, così come lo conosciamo, proviene da un’altra terra, quella campana. Non è un caso che a Napoli la nota via di San Gregorio Armeno sia chiamata “la via dei presepi”, dove i maestri presepiai confezionano a mano statuine di ogni tipo.

I ricordi uniscono, a volte sono talmente potenti da generare una nostalgia lancinante; a volte invece ci troviamo a sorridere con dolcezza, rievocando gesti, sguardi, parole, persino sentimenti. I miei ricordi iniziano dalle scuole elementari. È in questo periodo che conobbi San Francesco d’Assisi. La mia insegnante, Suor Agnese, aveva portato il televisore in classe, inserendo in un vecchio videoregistratore la videocassetta del film di Zeffirelli, “Fratello sole, sorella luna”. Da quel momento in poi, ho desiderato recarmi ad Assisi, percorrere i luoghi in cui aveva vissuto quel santo che percepivo tanto vicino a me mentre intonava il “Cantico delle Creature”. E l’occasione arrivò, qualche anno più tardi, durante le scuole medie. Ero solo una bambina nel mezzo di un gruppo di compagni chiassosi, io tanto timida e riservata. Ricordo che non vedevo l’ora che giungesse il giorno della gita di una giornata: sapevo di essere stata battezzata il 4 ottobre, nel giorno dedicato a San Francesco e che, già all’epoca, tutti mi dicevano “Avresti dovuto chiamarti Francesca” perché amavo gli animali e la natura.

Scesa da quel pullman dai gradini troppo alti, ad Assisi il cielo era plumbeo, piovigginava, ma non potrò mai dimenticare l’emozione di osservare la basilica e, poi, quella di mettere piede al suo interno. Il terremoto del 1997 aveva appena lasciato delle ferite terribili, le crepe si aprivano sulle volte squarciando i magnifici affreschi, ma la spiritualità di quel posto era forse aumentata: una cattedrale sopravvissuta al disastro. Non ricordo molto altro della gita, solo una lunga camminata per le stradine con i sanpietrini, la salita immensa di San Damiano, un panino avvolto nella carta stagnola scartato su un muretto, una statuetta di San Francesco d’Assisi con una colomba in mano che ancora si trova nella mia camera, i sentimenti frizzanti che solo i bambini possono percepire e null’altro.

Basilica di San Francesco d’Assisi, febbraio 2022 (foto di Cristina Cumbo)

A fine febbraio-inizi marzo 2022 sono tornata nella terra del Poverello di Assisi, con la voglia di esplorare e un bagaglio di conoscenze che non sono mai abbastanza. Ho sofferto il freddo, ho provato la neve e il ghiaccio recandomi all’Eremo delle Carceri, ma ne è valsa la pena. Sono riuscita a visitare quasi tutti i luoghi che avrei voluto ricordare in quella gita delle medie. San Francesco, durante la sua attività, aveva camminato lungo le strade che stavo percorrendo io e tanto mi bastava per essere felice. Ho proseguito a detestare la salita di San Damiano, ma ne ho amato la discesa, i ciclamini che attendevano nel chiostro, la tranquillità e la pace che ho provato entrando nella minuscola chiesa con il famoso crocifisso che aveva parlato a San Francesco, crocifisso di cui ho un altro ricordo: la me bambina che cammina per casa stringendo nella mano una sua piccola replica.

Durante la mia esperienza universitaria, ho sostenuto volutamente un esame monografico su San Francesco d’Assisi (corso di Letteratura latina medievale). La sete di conoscenza non era mai abbastanza e volevo sapere, o almeno provare a capire, cosa spingesse un ragazzo ricco e molto benestante dell’epoca a spogliarsi di tutto, ad abbandonare la vita di agi e ad abbracciare la povertà, seguendo il messaggio di Cristo. E vivendo pienamente quel messaggio, aveva deciso di riprodurne la nascita, coinvolgendo la popolazione e trovando a Greccio, un paesino vicino Rieti, il luogo in cui tornare indietro a Betlemme, in quel giorno di quell’anno che convenzionalmente fissiamo al 25 dicembre dell’anno 0, connotato dall’avvento di una luminosa stella che già il profeta pagano Balaam, nel maledire il popolo d’Israele per conto del re di Madian, aveva previsto: “Lo vedo, ma non ora; lo contemplo, ma non da vicino: una stella spunta da Giacobbe, uno scettro sorge da Israele” (Numeri 24,17).

Una luce di speranza entrava a rischiarare il cuore degli uomini contemporanei e futuri, una luce racchiusa apparentemente in un bimbo nato in una povera mangiatoia di cui conosciamo i dettagli non dai Vangeli canonici, ma dall’apocrifo dello ps. Matteo, in cui per l’unica volta vengono nominati il bue e l’asinello, sempre presenti nelle nostre rappresentazioni casalinghe, ma ancor prima nell’epoca paleocristiana, quando fanno la loro comparsa. Ne abbiamo un bell’esempio sul coperchio del sarcofago di Adelfia, risalente al IV secolo d.C. e conservato presso il Museo Archeologico “Paolo Orsi” di Siracusa.

Nel 1223 San Francesco scelse Greccio per rievocare la nascita di Cristo, con il preciso scopo di avvicinarsi a un popolo povero, ignorante, portando oltre al messaggio di speranza, l’insegnamento del Vangelo.

Ci sembrerà strano, ma la rappresentazione ideata da San Francesco non prevedeva le consuete statuine, anzi, era molto “vuota”. Il Poverello di Assisi predicava a Greccio già dal 1209, essendosi stabilito in una capanna sul Monte Lacerone, da cui scendeva a valle. Conobbe qui Giovanni Velita, con il quale instaurò un grande rapporto di amicizia. Intanto il tempo correva, San Francesco si recò a Roma per far sì che il pontefice approvasse la Regola e chiese, in quell’occasione, permesso di rappresentare la natività. L’idea era nata dal suo recente viaggio in Palestina. Tornato quindi in Italia, San Francesco chiese a Giovanni Velita di scegliere una grotta, di costruire una mangiatoia, portandovi un bue e un asinello e di cercare di riprodurre fedelmente quella di Betlemme. In 15 giorni Giovanni riuscì nell’impresa, radunando i frati e la popolazione ad assistere, e così nacque il presepe, in una grotta di Greccio. San Francesco stesso si recò a pregare davanti ad esso, commosso. Si narra anche di una visione, quella di Giovanni da Greccio, il quale vide un bellissimo bambino dormire nel presepe allestito dal santo e San Francesco stringerlo al petto, deponendolo poi nella mangiatoia.

Nella Basilica Superiore di Assisi il XIII dei 28 affreschi giotteschi che compongono la “Storia di San Francesco d’Assisi” riporta proprio quel momento della notte di Natale del 1223 vissuto a Greccio, ma ambientato in tal caso all’interno di una chiesa, dagli studiosi ritenuta la Basilica Inferiore. San Francesco tiene tra le mani Gesù Bambino, deponendolo nella mangiatoia, un gruppo di persone assiste, i frati cantano in coro e le donne osservano dalla porta.

Com’era quindi il presepe di San Francesco? Molto spoglio rispetto al nostro. C’erano una grotta, una mangiatoia, un bue e un asinello, e il popolo assisteva, mentre la nascita di Cristo avveniva nel cuore del fedele che pregava davanti ad esso.

La tradizione del presepe con statuine e scene di vita quotidiana si fa, invece, risalire al Cinquecento con San Gaetano Thiene, veneto vissuto a Napoli. Un santo che aveva a cuore la raffigurazione della Natività e che iniziò una vera e propria arte dopo aver ricevuto una visione a Roma, nella Basilica di Santa Maria Maggiore (qui ricordiamo la reliquia della Santa culla), inserendo alcune figurine che riproducessero l’avvento del Signore. Si dice che San Gaetano chiamasse anche i pifferai e alcuni pastori, che sfilavano perciò per le vie di Napoli fino a giungere al presepe nell’oratorio di Santa Maria della Stalletta.

Cosa rappresentava dunque il presepe? Certamente la Natività inserita in un contesto altro, quello dell’Italia rurale, dei borghi e di quei centri storici delle grande città che, ormai, non esistono più, in cui vi erano botteghe tipiche, venditori ambulanti, pastori che conducevano le proprie greggi, falegnami, zampognari, donne che lavavano i panni alla fontana del paese. Il presepe si prospetta, così, come un spaccato – realistico o inventato – di quelle località che, attualmente, identifichiamo con i borghi, talvolta abbandonati, dell’hinterland Italiano e che, fino ai primi decenni del Novecento, costituivano i luoghi di nascita dei nostri nonni.

Presepe in piazza San Pietro, dicembre 2023 (foto di Cristina Cumbo)

Nel periodo appena trascorso, nella monumentale piazza di San Pietro in Vaticano, si è voluto celebrare l’anniversario dell’evento di Greccio con la riproduzione del presepe nella celebre grotta, dove spicca l’affresco di scuola giottesca attribuito al Maestro di Narni (Giovanni di Giovannello di Paulello), datato tra il 1375 e il 1410. Ma non è l’unica iniziativa degna di nota: ancora a Roma, presso il Complesso di San Francesco a Ripa e quello dell’Ara Coeli è stata allestita la mostra “Nel nome di San Francesco”, visitabile fino al 29 febbraio 2024. Sono solo alcuni dei numerosi eventi che hanno costellato l’Italia da Nord a Sud.

Una rappresentazione inventata secoli fa prosegue, così, a caratterizzare le nostre case, le nostre chiese, i luoghi pubblici, entrando a piena regola all’interno del patrimonio culturale immateriale. L’ICPI, infatti, ha iniziato un censimento georeferenziato dei presepi artistici d’Italia, un modo questo di valorizzare e salvaguardare non solo la tradizione in sé, ma anche dei singolari prodotti dell’artigianato locale.

Bibliografia essenziale:

Fra Felice Autieri OFMConv, Il Presepe di Greccio nella Basilica superiore: https://www.sanfrancescoassisi.org/html/ita/shownews.php?idNews=384&zone=WEBSFBasilica

Basilica di Santa Chiara in Assisi, Il Crocifisso di San Damiano: https://www.assisisantachiara.it/il-crocifisso-2/il-crocifisso/

Giorgio Bernardelli, Avvento. La reliquia della «Santa Culla» fa ritorno a Betlemme, su Avvenire (02/12/2019): https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/la-reliquia-della-santa-culla-fa-ritorno-nella-citta-dove-nacque-il-bambinello

R. Beretta, Storia e tradizione. Gli 800 anni del presepe, ma qual è il messaggio di san Francesco?, su Avvenire (08/12/2023): https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/presepe-greccio-san-francesco-assisi-800-anni-la-storia

Campania.info, San Gregorio Armeno, la via dei Presepi: https://www.campania.info/napoli/cosa-vedere-napoli/san-gregorio-armeno/

Città dei Presepi. Associazione Nazionale, L’Italia dei Presepi: https://www.cittadeipresepi.com/litalia-dei-presepi/

Comune di Greccio, Il presepe di Greccio (22/02/2019): https://comune.greccio.ri.it/contenuti/45639/presepio

C. Cumbo, Balaam e la stella. La controversa storia del profeta Veterotestamentario e della sua iconografia nelle rappresentazioni cristiane dei primi secoli, in Jahrbuch für Antike und Christentum, 59 (2016), pp. 67-88.

ICPI, Mappatura dei presepi d’Italia: https://icpi.beniculturali.it/presepi-ditalia/

M. M. Morciano, L’anima sacra del presepe napoletano, su L’Osservatore Romano (06/01/2022): https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2022-01/l-anima-sacra-del-presepe-napoletano.html

Mostra “Nel nome di San Francesco”: https://greccio-2023.com/eventi/mostra-nel-nome-di-francesco/

Pro Loco Greccio, Santuario di Greccio: https://prolocogreccio.it/santuario-di-greccio/

Trailer del film “Fratello sole, sorella luna” di Franco Zeffirelli (1972): https://www.youtube.com/watch?v=B6Rr3t4bvDc

Vivi Vigevano, Presepi in Castello: https://www.vivivigevano.com/eventi/presepi-in-castello-vigevano-2/

Autori del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Leonardo Miucci e Cristina Cumbo

Scritto in data: 21 gennaio 2024

Foto di Cristina Cumbo e Leonardo Miucci. Ne è vietata la diffusione senza l’esplicito consenso degli autori e/o l’indicazione dei credits fotografici, nonché del link relativo al presente articolo.

Le immagini, delle quali è indicata la fonte, sono inserite per puro scopo illustrativo e senza alcun fine di lucro.

Il contributo è scaricabile in formato pdf al seguente link.

La nostra attività sul blog e sui social viene effettuata volontariamente e gratuitamente. Se vuoi sostenerci, puoi fare una donazione. Anche un piccolo gesto per noi è importante.

Ti ringraziamo in anticipo!

Admin. Cristina Cumbo e #LaTPC team

Puoi inquadrare il QR-code tramite l’app di PayPal, oppure cliccare su:

Sostieni #LaTPC blog

Pubblicato da Leonardo Miucci

Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, precedentemente in servizio presso la Sezione TPC di Siracusa