La confisca del bene culturale illecitamente esportato all’estero

Nell’intervento del mese di febbraio vogliamo essere diretti e porvi subito una domanda: può un soggetto affermare la sua buona fede in relazione al possesso di un bene culturale appartenente allo Stato e illecitamente esportato all’estero, evitando così la confisca?

In altri termini: può un soggetto dire di non essere stato a conoscenza della provenienza illecita del bene culturale poi esportato all’estero e quindi evitare la confisca?

È una domanda che impone una riflessione giuridica attorno al concetto di «buona fede», all’istituto della confisca e al reato di illecita esportazione di bene culturale. Sono argomenti per la verità già trattati in altri interventi, ma che conviene qui brevemente riprendere per cercare di dare una risposta plausibile alla domanda posta sopra.

La confisca consiste nella espropriazione della cosa provento di reato dal soggetto che la detiene (solitamente condannato per il reato) allo Stato. Nonostante da alcuni venga vista come una sanzione accessoria che consegue alla condanna, essa è tuttavia una misura di sicurezza patrimoniale, la cui ratio risiede nella necessità di evitare che restino nella disponibilità del reo le cose che, per loro natura o per la loro attinenza al reato, possano costituire stimolo a commettere ulteriori illeciti.

In termini generali il Codice Penale, all’art. 240, prevede: una confisca facoltativa, che il giudice può, in caso di condanna, disporre in relazione alle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, o delle cose che ne sono il prodotto o il profitto; una confisca obbligatoria in ordine a taluni contemplati reati. Presupposto indispensabile per l’applicazione della confisca, sia facoltativa sia obbligatoria, è che le cose devono appartenere a persona che ha commesso il reato o che comunque ha avuto con questo una relazione (correo, per esempio).

In tema di beni culturali il Codice, all’art. 174, comma 3°, D.Lgs.vo n. 42 del 2004, così recita: «Il giudice dispone la confisca delle cose, salvo che queste appartengano a persona estranea al reato. La confisca ha luogo in conformità delle norme della legge doganale relative alle cose oggetto di contrabbando».

È, quest’ultima, una confisca obbligatoria. Lo si deduce proprio dal verbo «dispone» che sebbene declinato all’indicativo, deve essere inteso imperativamente: il giudice deve disporre. Ovviamente il dovere di applicazione del giudice trova il limite nel caso in cui le cose appartengano a persona estranea al reato. Inoltre la confisca in esame ha a carattere amministrativo e mira al recupero del bene. Ne consegue che essa deve applicarsi anche se il soggetto non sia responsabile dell’illecito o comunque non abbia riportato condanna e, quindi, a prescindere dall’accertamento di una responsabilità penale.

Atleta di Fano, Getty Museum. Per la scultura, la Corte di Cassazione ha ufficializzato la confisca e la restituzione all’Italia (foto tratta da: www.marcheweekend.it)

Il concetto di buona fede non è espressamente disciplinato dalle norme. Esso implica un onere di attenzione secondo la regola della diligenza del «buon padre di famiglia»: il soggetto è tenuto a verificare, usando un’ordinaria diligenza, la provenienza del bene. Per fare un esempio: poniamo il caso di una persona che acquista un dipinto di valore, senza porsi il dubbio in ordine alla esigua somma sborsata. In caso di accertamento della provenienza illecita del bene, egli non potrà giustificarsi affermando di averlo acquistato in buona fede, sconoscendo la provenienza illecita del bene. Era tenuto a verificare e se non lo ha fatto, l’accertamento della provenienza delittuosa del bene non lo esimerà da responsabilità.

Con riguardo, infine, al reato di esportazione illecita possiamo dire, in termini assai generali e rimandando a quanto abbiamo già detto in un precedente intervento, che l’ordinamento sanziona la condotta di «chiunque trasferisce all’estero cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico … senza attestato di libera circolazione o licenza di esportazione».

Esiste nel nostro Ordinamento, oltre alla esportazione definitiva, anche un’uscita temporanea del bene dal territorio dello Stato. Per la esportazione definitiva occorre un’attestazione di libera circolazione, mentre per l’uscita temporanea basta un’autorizzazione.

Fatta la doverosa e breve premessa, procediamo ora ad inquadrare la questione con particolare riferimento alla confisca, partendo da alcuni esempi.

Tizio ruba un dipinto e poi lo esporta all’estero. Nulla questio sul fatto che il giudice debba applicare la confisca una volta intervenuta la condanna.

Riprendendo l’esempio di pocanzi, poniamo invece che Tizio acquisti un dipinto di valore, poi risultato rubato ad un ente pubblico, pagando una somma esigua per poi venderlo ad una galleria. Tratto in giudizio, la condanna non accerta la sua responsabilità per qualsivoglia motivo (mancanza di prove, per esempio). In tale caso egli è sostanzialmente estraneo all’ipotetico reato di furto o ricettazione e, quindi, secondo l’impostazione normativa, il giudice non potrebbe disporre la confisca del bene il quale dovrebbe quindi essere restituito, paradossalmente, all’imputato mandato assolto.

Ma sarebbe giuridicamente e sostanzialmente accettabile una simile decisione, soprattutto se il bene è di appartenenza statale?

La risposta non può che essere negativa. Anzitutto perché Tizio, in realtà, non può del tutto affermarsi estraneo al reato perché dal reato ha comunque tratto un qualche vantaggio o utilità, ed incombe su di lui l’onere di provare la sua buona fede.
Non può essere considerata persona estranea al reato non solo chi ha commesso il fatto, ma anche chi dal reato ha tratto utilità o vantaggi.

Sul punto la Corte di Cassazione, pronunciandosi su un ricorso relativo ad un provvedimento di confisca di un «Messale» detenuto da una Biblioteca statunitense, ha affermato che «in caso di illecito trasferimento all’estero di cose di interesse storico o artistico, la confisca prevista dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 174, deve essere obbligatoriamente disposta, salvo appunto che la cosa appartenga a persona estranea al reato, anche se il privato non sia responsabile dell’illecito o comunque non abbia riportato condanna, trattandosi di misura recuperatoria di carattere amministrativo la cui applicazione è rimessa al giudice penale a prescindere dall’accertamento di una responsabilità penale» e che «quanto alla nozione di “estraneità al reato” … non può considerarsi estraneo al reato non solo chi abbia posto in essere un contributo di partecipazione o di concorso allo stesso, ma anche chi abbia ricavato vantaggi ed utilità da esso, ovvero qualsiasi giovamento dalla sua commissione, per tale dovendosi intendere qualsivoglia condizione di favore anche non materiale, derivante dal fatto costituente reato», con il limite «della buona fede» del terzo», ovvero«dalla non conoscibilità, con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta, del rapporto di derivazione della propria posizione soggettiva dal reato commesso».

La risposta alla domanda posta in apertura è, dunque, nei fatti sopra esposti.
La confisca prevista all’art. 174, comma 3°, D.Lgs.vo n. 42 del 2004, è un provvedimento amministrativo teso al recupero del bene e, quindi, obbligatoria, a prescindere dall’accertamento della responsabilità personale del soggetto imputato.
Potremmo allora chiederci perché il legislatore, e soprattutto la Giurisprudenza di legittimità che ne ha interpretato la volontà, ha voluto renderla obbligatoria.

La risposta è assai intuibile e prende in esame, come sempre, l’aspetto, per così dire, affettivo dell’appartenenza del bene.
Intanto occorre dire che l’istituto della confisca prevista dal Codice dei Beni Culturali è uno di quei modi, diffusi e costanti, attraverso il quale il diritto si attaglia alla realtà, ripristinandola secondo giustizia: il godimento di un bene deve riconoscersi al soggetto che legittimamente può vantare diritti su quel bene. Diversamente, sarebbe pura ingiustizia.

Se poi il bene appartiene allo Stato, e quindi a noi tutti, ebbene, l’esigenza affinché il bene rientri nella sfera patrimoniale e giuridica del legittimo proprietario, deve affermarsi con maggiore vigore. Diversamente, sarebbe un furto di identità legittimato dalla legge: un paradosso.

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Leonardo Miucci

Scritto in data: 23 febbraio 2021

Il contributo è scaricabile in formato pdf al seguente link.

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Pubblicato da Leonardo Miucci

Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, precedentemente in servizio presso la Sezione TPC di Siracusa