La “Culturalità” di un bene secondo la legge penale

Spesso, quando parliamo di beni culturali, la mente ci porta a pensare a tutti quei beni che risultano censiti o che hanno ricevuto un riconoscimento formale della loro essenza culturale. Tuttavia il nostro patrimonio culturale è costituito anche di quelle cose non censite o non ancora censite, ovvero non formalmente riconosciute come “culturali”, addirittura anche di quelle cose non ancora scoperte e studiate: tutte le cose antiche, che in questo preciso momento si trovano nel sottosuolo non ancora scavato, costituiscono il patrimonio culturale sebbene non ancora visibili.

E d’altronde non può essere diversamente se si considera che il bene culturale – riconosciuto o meno da un provvedimento formale – acquista importanza ai fini della tutela proprio in virtù della sua culturalità.

La normativa in vigore prevede forme di tutela su diversi livelli a seconda dell’entità del pericolo di aggressione ravvisato in danno dei beni culturali. Una tutela per così dire ordinaria viene offerta dalle disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio principalmente contenute nel D.lgs. n. 42 del 2004; una tutela di maggiore incisività è assicurata dalle disposizioni del Codice Penale in caso di aggressione violenta al regime dei beni culturali. Si tratta, infatti, di una tutela penale assistita da sanzione che giustifica la limitazione della libertà personale.

Il punto di partenza ai fini della tutela – che sia ordinaria o penale – è, però, la culturalità del bene.

Che cosa è bene culturale nell’ottica della tutela ordinaria? E che cosa in quella penalistica?

Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, dopo aver precisato (art. 2, comma 2°) che per bene culturale sono da considerare tutte “le cose immobili e mobili che presentano un interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico, e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà”, offre anche un dettagliato catalogo di beni culturali, distinguendo quelli appartenenti alla sfera pubblica (art. 10, comma 1°) e quelli privati (art. 10, comma 3°).

A seconda della loro appartenenza, essi ricevono tutela con modalità diverse.

Nel caso di bene pubblico riconducibile ad opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settant’anni, lo stesso bene viene sottoposto comunque a tutela secondo le norme dello stesso Codice, in attesa dell’adozione del provvedimento di verifica dell’interesse culturale (art. 12).

In caso di bene appartenente a privato, l’organo preposto alla tutela può avviare l’iter per l’adozione del provvedimento di dichiarazione dell’interesse culturale (art. 13) e, nelle more, può adottare, in via cautelare, ogni provvedimento volto a preservarlo (art. 14, comma 4°).

Come si può vedere il legislatore, nell’ottica di apprestare la loro dovuta protezione, ha comunque previsto forme di tutela anche in favore di tutti quei beni che non risultino espressamente dichiarati “culturali” e quindi prescindendo dalla nozione puntuale di bene culturale offerta dal codice, come si evince dal contenuto letterale della disposizione di cui all’art. 2: (sono beni culturali) le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà.

La stessa scelta non sembra, tuttavia, essere stata compiuta nell’ambito della tutela penale, dove ciò che risulta mancare è proprio una nozione penalmente rilevante di bene culturale, o quantomeno risultava mancante visto che, recentemente, una decisione della Corte di Cassazione ne ha colmato il vuoto normativo, nonostante la stessa nozione sia stata adottata dalla Convenzione di Nicosia all’art.  2, comma 2°.

Come è noto, la Convenzione del Consiglio d’Europa, fatta a Nicosia il 19 maggio 2017 e ratificata dall’Italia con legge 21 gennaio 2022, n. 6, detta norme in materia di infrazioni relative ai beni culturali e ha l’obiettivo di contrastare il traffico illecito di beni culturali che coinvolge in prima linea Stati come l’Italia e la Grecia, oltre a un notevole impatto sia dal punto di vista del danno che tali beni subiscono, sia dal punto di vista economico, impegnando gli Stati che l’hanno ratificata a adottare interventi normativi specifici.

A seguito della ratifica della Convenzione, il nostro Parlamento con Legge 9 marzo 2022, n. 22, ha introdotto nel codice penale il Titolo VIII-bis “Dei delitti contro il patrimonio culturale”, apportando una riforma sul piano sostanziale delle fattispecie delittuose prima previste nel codice dei beni culturali e del paesaggio. Tuttavia, tra le nuove disposizioni introdotte nel codice penale non figura, come si diceva, una nozione di bene culturale penalmente rilevante, essenziale per l’esatta qualificazione giuridica del fatto-reato. Infatti, come altrimenti qualificare tutti quei beni di cui in modo illecito dovesse venire trovato in possesso il soggetto privato, se su quei beni non vi sia un provvedimento dichiarativo dell’interesse culturale, ma che tuttavia presenta tutti i crismi della culturalità?

La lacuna, come si diceva, è stata colmata da una recente sentenza della Cassazione, la quale ha ribadito la propria adesione alla concezione c.d. sostanzialistica, in forza della quale il bene giuridico protetto dalle disposizioni del nuovo Titolo VIII bis c.p. andrebbe individuato nel patrimonio culturale reale, ossia in quei beni di per sé già tutelati “in virtù del loro intrinseco valore culturale, indipendentemente dal previo e formale riconoscimento dello stesso da parte delle autorità competenti”. Conviene riportare il passo saliente della sentenza:Al riguardo, occorre ricordare come la giurisprudenza di legittimità, specie con riferimento al reato di impossessamento illecito di beni culturali (già art. 176 cod. beni cult., ora art. 518-bis, comma primo, seconda parte, cod. pen.), abbia da sempre adottato un approccio sostanziale affermando che non è richiesto, quando si tratti di beni appartenenti allo Stato, l’accertamento dell’interesse culturale, né che i medesimi presentino un particolare pregio o siano qualificati come culturali da un provvedimento amministrativo, reputando sufficiente che la “culturalità” sia desumibile dalle caratteristiche oggettive dei beni”.

La sentenza è stata resa nell’ambito di un processo in cui la persona risultava imputata del reato di appropriazione indebita di alcuni beni tra i quali un architrave e due frammenti (1’angolo di coperchio di un sarcofago e un rilievo di tufo raffigurante una scena mitologica) in relazione ai quali la difesa sosteneva, tra l’altro, “che nessun accertamento giudiziale era intervenuto sulla natura di quei beni e che nessun provvedimento amministrativo era stato adottato ai sensi dell’art. 13”.

Conviene, anche in questo caso, riportare il ragionamento logico-giuridico seguito dalla Corte: “Ed è proprio la Convenzione, all’art. 2, ad offrire una propria definizione di “beni culturali”, mutuata dalla Convenzione UNESCO del 1970, di cui occorre tener conto nella applicazione nuove fattispecie incriminatrici e che comprende, tra l’altro, i “prodotti di scavi archeologici (sia quelli che regolari che clandestini) o di scoperte archeologiche”, gli “elementi di monumenti artistici o storici o siti archeologici che sono stati smembrati”, le “antichità che hanno più di cento anni, come le iscrizioni, le monete e le incisioni”. Il legislatore interno, nel dare attuazione agli impegni internazionali introducendo le nuove fattispecie incriminatrici, non ha d’altra parte colto l’occasione per formulare una definizione specifica di “beni culturali” preferendo rimettere all’interprete il compito di “perimetrare” il bene culturale penalisticamente rilevante, quale elemento costitutivo delle incriminazioni ricomprese nel Titolo VIII-bis, tutte punite a titolo doloso. Di qui, allora, la persistente necessità di far riferimento alla nozione di bene culturale fissata “a fini amministrativi” dall’art. 2 cod. beni cult., da sempre utilizzata sul terreno penale … occorre ricordare come la giurisprudenza di legittimità, specie con riferimento al reato di impossessamento illecito di beni culturali (già art. 176 cod. beni cult., ora art. 518-bis, comma primo, seconda parte, cod. pen.), abbia da sempre adottato un approccio sostanziale affermando che non è richiesto, quando si tratti di beni appartenenti allo Stato, l’accertamento dell’interesse culturale, né che i medesimi presentino un particolare pregio o siano qualificati come culturali da un provvedimento amministrativo, reputando sufficiente che la “culturalità” sia desumibile dalle caratteristiche oggettive dei beni,  quali la tipologia, la localizzazione, la rarità o altri analoghi criteri, e la cui prova può desumersi o dalla testimonianza di organi della P.A. o da una perizia disposta dall’autorità giudiziaria … Trova conferma, dunque, l’indirizzo “sostanzialistico” secondo il quale il riferimento contenuto nell’art. 2 cod. beni cult. alle “altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà” integra una formula di chiusura che consente di ravvisare il bene giuridico protetto dalle disposizioni sui beni culturali ed ambientali non soltanto nel patrimonio storico artistico-ambientale dichiarato, ma anche in quello reale, ovvero in quei beni protetti in virtù del loro intrinseco valore, indipendentemente dal previo riconoscimento da parte della autorità competenti”.

Qual è l’insegnamento intrinseco che ci vuole dare la Corte di Cassazione al di là degli aspetti di natura giuridica?

Riteniamo che tutto il messaggio possa essere circoscritto alla locuzione utilizzata dall’alto consesso laddove dichiara che il contenuto dell’articolo 2 della Convenzione di Nicosia in materia di definizione di bene culturale rappresenta una formula di chiusura. Ciò significa che il sistema è concepito in modo tale da assicurare in concreto ogni forma di tutela, in specie quella penale, che risultava mancante di una tale nozione, in favore di beni intrinsecamente culturali, che diversamente rimarrebbero senza tutela con la conseguenza di grave e irreparabile nocumento al nostro patrimonio culturale.

Bibliografia essenziale:

Codice penale e di procedura penale, edizione Dike giuridica, Roma 2023.

– A. Crosetti, D. Vaiano, Beni culturali e paesaggistici, Torino 2011.

– L. Mazza (a cura di), Le disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale. Una prima lettura, Pisa 2023.

– Sent. Cass. pen., II sez., 27.9.2023, n. 41131, dep. 10.10.2023. Sez. 3, n. 24988 del 16/7/2020, Quercetti, Rv. 279756-01; conf. Sez. 3, n. 24344 del 15/5/2014, Rapisarda, Rv. 259305-01; Sez. 2, n. 36111 del 18/7/2014, Medda, Rv. 260366-01; Sez. 3, n. 41070 del 7/7/2011, Saccone e altro, Rv. 251295-01.

Sitografia:

https://www.altalex.com

https://www.beniculturali.it/carabinieri.it

https://www.giustizia-amministrativa.it

https://www.giurisprudenzapenale.com

https://www.njus.it

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Leonardo Miucci

Scritto in data: 26 novembre 2023

Il contributo è scaricabile in formato pdf al seguente link.

La nostra attività sul blog e sui social viene effettuata volontariamente e gratuitamente. Se vuoi sostenerci, puoi fare una donazione. Anche un piccolo gesto per noi è importante.

Ti ringraziamo in anticipo!

Admin. Cristina Cumbo e #LaTPC team

Puoi inquadrare il QR-code tramite l’app di PayPal, oppure cliccare su:

Sostieni #LaTPC blog

Pubblicato da Leonardo Miucci

Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, precedentemente in servizio presso la Sezione TPC di Siracusa