L’esportazione illecita di beni culturali

Nel presente contributo parleremo di esportazione di beni culturali e, in particolare, di esportazione illecita, con un commento, come si è soliti fare, delle norme che ne disciplinano i casi.

La materia risulta regolamentata anche da disposizioni di rango internazionale e comunitario, tuttavia, per motivi di spazio editoriale, se ne ometterà la trattazione, preferendo concentrare la nostra attenzione soltanto su disposizioni contemplate dal nostro ordinamento.

In premessa va detto che tutte le disposizioni contenute nel D.Lgs.vo n. 42 del 2004 «Codice dei beni culturali e del paesaggio» sono poste a tutela della «integrità del patrimonio culturale in tutte le sue componenti» (art. 64-bis).

Infatti il timore del legislatore è da individuare nel danno che ne deriverebbe se il patrimonio culturale venisse intaccato nella sua interezza: quale conseguenza vi sarebbe se, per esempio, un «trittico» fosse privato di una parte perché il proprietario decidesse di esportarla fuori dal territorio dello Stato?

Le disposizioni, contenute come si è detto nel D.Lgs.vo n. 42 del 2004 «Codice dei beni culturali e del paesaggio», che disciplinano la materia della circolazione internazionale dei beni culturali distinguono tre casi di esportazione di beni culturali: l’«uscita definitiva» (art. 65), l’«uscita temporanea per manifestazioni» (art. 66) e «altri casi di uscita temporanea» (art. 67).

Analizziamoli insieme.

L’art. 65, rubricato «Uscita definitiva», al primo comma, così recita:

«È vietata l’uscita definitiva dal territorio della Repubblica dei beni culturali mobili indicati nell’articolo 10, commi 1, 2 e 3».

Intanto occorre porre in rilievo il fatto che la norma fa espresso riferimento ai beni culturali indicati nell’art. 10, commi 1, 2 e 3, del D.Lgs.vo n. 42 del 2004, per i quali viene imposto un divieto di esportazione. Si tratta di un divieto assoluto.

Come ricorderete, in un nostro precedente contributo, venne già affrontata la questione di cosa intenda la legge per bene culturale, analizzando, appunto, proprio l’art. 10.

Un breve ripasso andrà a beneficio della comprensione della presente trattazione.

Il comma 1, dell’art. 10, indica come beni culturali … «le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni … che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico». Si tratta di beni di proprietà pubblica.

Il comma 2, dell’art. 10, una serie particolare di beni culturali: «le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni; gli archivi e i singoli documenti dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico; le raccolte librarie delle biblioteche dello Stato, delle regioni …». Anche in questo caso si tratta di beni di proprietà pubblica, ma si riferisce ad una particolare categoria.

Infine il comma 3, dell’art. 10, indica beni culturali di proprietà privata in relazione ai quali sia intervenuta la dichiarazione di interesse cultuale (ne parlammo in un nostro precedente intervento), ai sensi dell’art. 13 del Codice. A titolo esemplificativo, rimandando la puntuale elencazione alla lettura della disposizione, si citano: «le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1; gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, che rivestono interesse storico particolarmente importante; le raccolte librarie, appartenenti a privati, di eccezionale interesse culturale, ecc…».

Per tutti questi beni culturali, come si diceva, è vietata in modo assoluto l’esportazione.

Al comma 2, dell’art. 65 del Codice, è altresì vietata l’uscita: «delle cose mobili appartenenti ai soggetti indicati all’articolo 10, comma 1 (soggetti pubblici: lo Stato, Regioni, ecc…), che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, fino a quando non sia stata effettuata la verifica prevista dall’articolo 12; dei beni, a chiunque appartenenti, che rientrino nelle categorie indicate all’articolo 10, comma 3 (soggetti privati), e che il Ministero, sentito il competente organo consultivo, abbia preventivamente individuato e, per periodi temporali definiti, abbia escluso dall’uscita, perché dannosa per il patrimonio culturale in relazione alle caratteristiche oggettive, alla provenienza o all’appartenenza dei beni medesimi».

Come si può notare, sebbene la norma possa apparire alquanto complessa nella sua formulazione, vale comunque il principio secondo il quale il patrimonio culturale – pubblico o privato che sia – non può subire azioni che ne minano la sua integrità.

Infine, ai commi 3 e 4 dell’art. 65, vengono disciplinati, rispettivamente, i casi in cui la legge richiede l’autorizzazione per l’uscita definitiva dal territorio dello Stato di alcuni specifici beni culturali ed i casi in cui non occorre alcuna autorizzazione.

Il comma 3, dell’art. 65, così recita: «Fuori dei casi previsti dai commi 1 e 2, è soggetta ad autorizzazione … l’uscita definitiva dal territorio della Repubblica: delle cose, a chiunque appartenenti, che presentino interesse culturale, siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, il cui valore … sia superiore ad euro 13.500; degli archivi e dei singoli documenti, appartenenti a privati, che presentino interesse culturale; delle cose rientranti nelle categorie di cui all’articolo 11, comma 1, lettere f), g) ed h), a chiunque appartengano».

La procedura per ottenere l’autorizzazione è disciplinata all’art. 68 del Codice, là dove assume particolare rilievo l’attestato di libera circolazione e l’ufficio esportazione.

Infatti, afferma l’art. 68 che «Chi intende far uscire in via definitiva dal territorio della Repubblica le cose indicate nell’articolo 65, comma 3, deve farne denuncia e presentarle al competente ufficio di esportazione, indicando, contestualmente e per ciascuna di essi, il valore venale, al fine di ottenere l’attestato di libera circolazione».

Nella prassi accade che il soggetto interessato ad esportare l’opera, la presenta materialmente all’ufficio di esportazione per la valutazione di competenza.

L’ufficio di esportazione, in sostanza, verifica la consistenza culturale dell’opera e accerta i presupposti di legge per ottenere l’autorizzazione, la quale si sostanzia nel rilascio del certificato di libera circolazione. Infatti, ai sensi del comma 3, dell’art. 68 del Codice: «L’ufficio di esportazione, accertata la congruità del valore indicato, rilascia o nega con motivato giudizio, anche sulla base delle segnalazioni ricevute, l’attestato di libera circolazione, dandone comunicazione all’interessato entro quaranta giorni dalla presentazione della cosa» ed inoltre, ai sensi del comma 4, «Nella valutazione circa il rilascio o il rifiuto dell’attestato di libera circolazione gli uffici di esportazione accertano se le cose presentate, in relazione alla loro natura o al contesto storico-culturale di cui fanno parte, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico, a termini dell’articolo 10».

Il comma 4, dell’art. 65, afferma che «Non è soggetta ad autorizzazione l’uscita: a) delle cose di cui all’articolo 11, comma 1, lettera d) (studi d’artista); delle cose che presentino interesse culturale, siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, il cui valore sia inferiore ad euro 13.500  … ».

In tal caso, «l’interessato ha l’onere di comprovare al competente ufficio di esportazione, mediante dichiarazione sostitutiva, che le cose da trasferire all’estero rientrino nelle ipotesi per le quali non è prevista l’autorizzazione … ».

L’art. 66, rubricato «Uscita temporanea per manifestazioni», al primo comma, dispone che «può essere autorizzata l’uscita temporanea dal territorio della Repubblica delle cose e dei beni culturali indicati nell’articolo 65, commi 1, 2, lettera a), e 3, per manifestazioni, mostre o esposizioni d’arte di alto interesse culturale, sempre che ne siano garantite l’integrità e la sicurezza».

Si tratta di una possibilità di cui non è raro fare esperienza nell’ambito dei rapporti tra Stati allorché alcuni Paesi «prestano» le proprie opere ad altri Paesi per allestire mostre, per esempio.

A tal riguardo la norma pone, tuttavia, alcune restrizioni: «non possono comunque uscire: a) i beni suscettibili di subire danni nel trasporto o nella permanenza in condizioni ambientali sfavorevoli; b) i beni che costituiscono il fondo principale di una determinata ed organica sezione di un museo, pinacoteca, galleria, archivio o biblioteca o di una collezione artistica o bibliografica».

Infine, l’art. 67, rubricato «Altri casi di uscita temporanea», che disciplina l’uscita temporanea dei beni culturali contemplati all’art. 65 quando essi hanno una particolare destinazione: per esempio, «mobilio privato dei cittadini italiani che ricoprono, presso sedi diplomatiche o consolari, istituzioni comunitarie o organizzazioni internazionali, cariche che comportano il trasferimento all’estero degli interessati, per un periodo non superiore alla durata del loro mandato; presso sedi diplomatiche o consolari …». 

Quali sono le conseguenze in caso di esportazione illecita o uscita non autorizzata di beni culturali?

La risposta è contenuta nell’art. 174 del D.Lgs.vo n. 42 del 2004, rubricato «Uscita o esportazioni illecite».

La norma prevede sostanzialmente tre condotte diverse:

  • il soggetto che trasferisce all’estero «cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico … senza attestato di libera circolazione o licenza di esportazione»;
  • il soggetto che «non fa rientrare nel territorio nazionale, alla scadenza del termine, beni culturali per i quali sia stata autorizzata l’uscita o l’esportazione temporanee»;
  • allorché il «fatto è commesso da chi esercita attività di vendita al pubblico o di esposizione a fine di commercio di oggetti di interesse culturale, alla sentenza di condanna consegue l’interdizione ai sensi dell’Articolo 30 del codice penale».

Inoltre, «il giudice dispone la confisca delle cose, salvo che queste appartengano a persona estranea al reato» ed essa «ha luogo in conformità delle norme della legge doganale relative alle cose oggetto di contrabbando».

Al di là delle conseguenze penali cui il soggetto va incontro, è bene evidenziare che l’illecita esportazione di beni culturali è un’attività che determina un grave depauperamento del nostro patrimonio culturale, motivo per cui, come detto in premessa, le norme sono poste a presidio della sua integrità.

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Leonardo Miucci

Scritto in data: 14 ottobre 2020

Il contributo è scaricabile in formato pdf al seguente link.

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Pubblicato da Leonardo Miucci

Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, precedentemente in servizio presso la Sezione TPC di Siracusa